Il sonno è una parte fondamentale della vita di ogni individuo, occupandone circa un terzo dell’esistenza. Eppure, uno dei suoi aspetti, il sogno, è tutt’ora avvolto da un alone di mistero e misticismo.
Quando si parla del sogno vengono spesso citate le scoperte più curiose, le ipotesi più fantasiose. E chi, almeno una volta nella vita, non avrà detto:
“Ma perché sogniamo?”
“Perché non ricordo mai i sogni che faccio?”
“Che significa questo sogno?”
“Io non sogno!”
Ciascuno di questi argomenti meriterebbe approfondimenti rigorosi ed esaurienti che, tuttavia, risulterebbero troppo lunghi, noiosi e complessi per un blog.
Proverò a spiegarmi in modo chiaro muovendomi tra la psicologia cognitiva, la neurologia e le neuroscienze.
Credito di immagine: Zeynep Saygin, mcgovern.mit.edu
Innanzitutto sappiamo che, durante il sonno, alterniamo ciclicamente due stadi: il sonno REM (Rapid Eye Movement) e il sonno Non-REM.
I periodi Non-REM sono molto riposanti e caratterizzati da una forte diminuzione del metabolismo, del battito cardiaco, della pressione arteriosa e della frequenza respiratoria.
Nel corso del sonno REM invece, la frequenza cardiaca aumenta, la respirazione diventa irregolare, e compaiono i rapidi movimenti oculari da cui questa fase prende il nome.
L'attività cerebrale è molto vivace, tanto che l’elettroencefalogramma mostra caratteristiche simili a quelle che si potrebbero osservare durante la veglia. Non è un caso, infatti, che venga chiamato sonno paradosso.
Poiché le fasi REM risultano meno riposanti per il nostro organismo, quanto più la giornata è stata faticosa, maggiormente dureranno le fasi Non-REM a discapito di quelle REM.
Credito di immagine: Stephen D. Smith - PeerJ
Negli ultimi anni l’avanzamento delle tecniche di neuroimaging ha dato un importante contributo allo studio del sonno in generale. Per esempio, secondo alcuni scienziati, il sonno REM contribuirebbe a stabilizzare la sfera emozionale della persona, rendendola meno “scattante” nelle proprie reazioni agli stimoli emotivi. Il corretto alternarsi delle fasi REM e Non-REM, avrebbe inoltre anche il ruolo di sopprimere temporaneamente nel cervello l'azione delle sostanze responsabili dell’eccitazione e dello stress. Vostra madre non vi ha mai accusato di essere nervosi perché avete dormito poco? Ecco la spiegazione. Come sempre aveva ragione.
Ma ora parliamo di sogno: al contrario di quello che si pensa comunemente, l'attività onirica si può presentare in entrambe le fasi. Queste come vedremo, sono implicate nell’ organizzazione e nella consolidamento delle informazioni nella memoria.
Secondo la teoria dello psichiatra J. Zhang, attualmente la più accreditata, durante il sonno le informazioni presenti nella memoria temporanea vengono trasferite ed immagazzinate nella memoria a lungo termine. In questo modo il “cassetto” della memoria temporanea può essere svuotato e pronto a ricevere nuove informazioni una volta svegli.
Dunque, riassumendo, il sogno ci serve per fissare in memoria le informazioni apprese e, contemporaneamente, fare spazio a nuove nozioni.
Ma allora che differenza c'è tra un sogno in fase Non-REM ed un sogno in fase REM? La differenza sta nel tipo di informazioni che passano da una memoria all'altra.
Durante il sonno Non-REM la zona cerebrale più attiva è l'ippocampo e i ricordi spostati nella memoria a lungo termine sono i così detti dichiarativi. La memoria dichiarativa (o esplicita) riguarda le nozioni e tutti i fatti descrivibili a parole, sia per via vocale che per scritta.
Invece, durante le fasi REM, la memoria trasferita nel “cassetto” a lungo termine è quella procedurale (o implicita). Questa si riferisce ai ricordi di azioni che eseguiamo senza pensare, automaticamente, ormai apprese da tempo. Ad esempio, per un avvocato, i movimenti per fare il nodo alla cravatta fanno parte della memoria procedurale a lungo termine; un tassista non dovrà pensare consapevolmente alle azioni da compiere mentre è alla guida poiché la memoria implicita subentrerà in automatico, a livello non cosciente.
In termini un po' più tecnici, durante questa fase del sonno, alcuni dati procedurali vengono recuperati dalla memoria temporanea e confrontati con informazioni già presenti nella memoria a lungo termine, eliminando poi le informazioni non essenziali. Questo circuito serve quindi a fissare in modo “più saldo” le informazioni in memoria e ad effettuare una scrematura di quelle non necessarie.
A questo punto abbiamo tutti gli ingredienti per svelare un fatto curioso: durante la fase REM, mentre parte del cervello è impegnata a ripassare i ricordi procedurali, si immettono dei dati random di tipo dichiarativo prelevati sia dalla memoria temporanea che dalla memoria a lungo termine.
Quando questi ricordi casuali cominciano ad essere molti, il cervello prova a dargli un senso univoco utilizzando le strutture cerebrali adibite ai pensieri associativi ed emotivi.
Si creano così storie in cui si mischiamo in modo realistico eventi casuali con relative emozioni. Queste sono i cosiddetti sogni di tipo 2, che sono perciò molto più vividi, nitidi e realistici rispetto a quelli del sonno Non-REM.
Fortunatamente tutti noi esseri umani sogniamo e questo ci permette di imparare e ricordare. Ciò che spesso accade, e che trae in inganno chi afferma di non sognare, è che non ricordiamo ciò che abbiamo sognato.
Questo avviene perché durante entrambe le fasi del sonno la memoria temporanea, sia procedurale che dichiarativa, funziona “solo in uscita” cioè permette solamente il recupero di informazioni e non l'immagazzinamento di dati. Perciò, di fatto, le storie che abbiamo sognato non hanno potuto trovare uno spazio nella memoria temporanea e quindi non le ricordiamo una volta svegli.
L'unica cosa che possiamo fare è, se veniamo svegliati durante un sogno, richiamare immediatamente ciò che si ricorda del sogno. In questo modo, ora che siamo svegli, questo ricordo potrà entrare nella memoria temporanea.
Purtroppo, per problemi di attenzione, questo esercizio la mattina non sempre funziona.
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